A domanda rispondo

Io non sono sicuramente una persona alla quale vengono poste tante domande.
Nel senso che oltre alle classiche, e talvolta stupide, “come stai? cosa facciamo stasera? ah, sei arrivato? (no sono un ologramma)”, non mi vengono chieste tante altre cose.
Indubbiamente ciò è dovuto un po’ alla professione che uno svolge (fossi un professore, un addetto di un call center o un commesso, sicuramente le cose sarebbero diverse) e un po’ al fatto che probabilmente nessuno di coloro che frequento mi ritiene così informato da poter rispondere ad una qualunque domanda.
Ma ciò non mi infastidisce più di tanto: è uno stato di cose, e come tale va accettato, anche considerando il fatto che se nessuno mi chiede niente, io non devo rispondere di niente a nessuno, e questa teoricamente potrebbe essere una gran cosa.
Ma, e c’è sempre un “ma” nella vita di ognuno di noi, a pensarci bene c’è una domanda (a dire il vero sono due, ma non sottilizziamo) che mi viene fatta molto spesso, e alla quale io non ho mai risposto, forse perché in realtà non so cosa rispondere.
”Ma quanto sei scemo/stupido/cretino?” o, nella sua versione più Nietchze-ana “Come fai ad essere così scemo/stupido/cretino?” sono appunto le due domande, alle quali, converrete con me, non è facile rispondere.
Ma visto che io ho un grandissimo amor proprio, e che ancor maggiore è il mio amore verso la conoscenza, ho deciso di pensare seriamente a questa cosa, cercando non tanto di capire quanto io sia scemo, cosa probabilmente difficile da tradurre in cifre, quanto di capire quando questa mia scemenza è nata.
La cosa non è stata facile, perché per andare a capire quando una persona apparentemente normale si è trasformata in uno, diciamolo tranquillamente, sparacazzate, non ci si può basare su delle cose certe e rintracciabili.
Cioè, io non ho trovato l’annuncio di questa cosa sulla Stampa, e neanche ne ha parlato Giorgino al tg1, ma sono dovuto andare a scavare dentro di me, per cercare di riportare tutto alla sua origine.
E dopo tanto faticare sono riuscito a trovare una sera di settembre del 1991, subito dopo gli esami di maturità, quando io e i miei 4 amici storici, Gianni, Gianlu, Gepa e Alby, abbiamo dato un nuovo significato alla parola ironia e abbiamo persino dato un nuovo spessore alla parola sottile e al suo concetto..
Quella serata è iniziata con una semplice ed innocua cena, ma in realtà la nostra genialità ha dato i suoi primi segnali quando, usciti dal ristorante (si chiamava “Al gambero”), abbiamo iniziato a camminare tutti e cinque al contrario, e, forse aiutati dal vino bianco che cercava di affogare il nostro piloro, abbiamo deciso che quella sera avremmo inventato delle barzellette.
Nonostante siano passati ormai 13 anni, ho ancora un perfetto ricordo di quelle quattro ore, seduti su delle panchine, a sfornare senza soluzione di continuità delle battute che in quel momento ci sembravano geniali nella loro stupidità.
Era ovvio che una performance così prolungata dovesse lasciare inevitabilmente dei segni sull’intelletto di chi vi stava partecipando, e infatti così è stato, e nessuno di noi cinque da quella sera è stato più lo stesso.
Solo a titolo informativo ve ne trascrivo due, una inventata da me, e una da Gianluca, premettendovi due cose: 1) quella mia sono certo che sia mia, ma quella di Gianlu non lo posso sapere 2) la seconda fa parte di una saga di quattro, e se qualcuno ci tiene sono pronto ad illuminarlo con le altre.

Cosa ci fa un canguro su un aereo?
Boing-boing-boing

Due sposini, Sara e Beltempo, tornano dal loro viaggio di nozze. Sara decide di preparare un pranzo a Beltempo e, in silenzio, si sveglia alle nove per cominciare. Purtroppo, a causa dell’inesperienza, mentre pulisce la verdura si taglia un dito e, alla vista del sangue, urla e sviene. Beltempo corre in cucina e, vedendo Sara esanime e in una pozza di sangue, pensa che sia morta e BANG si uccide.
Morale?
Rosso di Sara, Beltempo si spara.

A domanda rispondoultima modifica: 2004-09-15T09:04:48+02:00da
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